Perché il veramente innamorato chiede la continuità, la vitalità (lifelongness) dei rapporti? Perché la vita è dolore e l'amore goduto è un anestetico, e chi vorrebbe svegliarsi a metà operazione?
Nell’articolo “Attraverso le lenti di Cesare Pavese vediamo lo scontento della nostra vita” (“Tuttolibri”, 3 aprile 2021), la scrittrice Nadia Terranova tocca un tema interessante.
Non è l’opera di Cesare Pavese a interpellarmi qui (benché le sue considerazioni su Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950 invoglino a leggerlo senza indugi); ma il tema che Terranova chiama in causa per raccontare il suo rapporto con Pavese (e così vien voglia di leggere anche i testi di lei…). “Il rapporto che i lettori hanno con il privato degli autori è complesso, gli atteggiamenti divergono, qualcuno preferisce non sapere nulla, qualcuno invece sapere tutto. Molti si attestano su un atteggiamento di mezzo che ammicca alla prudenza, un rapporto ambivalente in cui l’enzima della curiosità oscilla tra il ritrarsi pudico e il cercare morboso.” In quale delle categorie di riconosciamo?
La mia posizione a riguardo è mutata nel tempo. In gioventù, mi piaceva credere che l’opera fosse l’unico elemento a dover parlare per l’autore. Tendevo a censurare la curiosità verso il vissuto degli artisti, ad astrarre l’opera dalla vita (neanche a dirlo, Pavese afferma: “riesce a compiere una certa opera soltanto chi valga di più di quest’opera”). Si sa che in gioventù gli assolutismi, le utopie e le estremizzazioni sono esche più potenti che nel resto della propria esistenza. Nei tentativi di conoscersi e conoscere la vita, quel periodo può lasciarci indulgere verso la finzione e una buona dose di vanità. Non porsi domande sull’uomo la cui opera ci appassiona potrebbe esser nutrito da altre ragioni? Terranova suggerisce una stimolante risposta: “la dicotomia è solo di superficie: se un romanzo ci ha parlato con voce tanto devastante e plateale, i segreti della vita di chi lo ha scritto non possono che appartenere a noi”. E se non ce ne siamo accorti è forse perché “non vogliamo chela realtà ci svegli”.
Con il tempo è possibile che ci si accorga dei sofisticati meccanismi che governano la mente e le nostre pulsioni; un po’ dell’ingombrante ego che imbroglia e imbriglia la visione della gioventù può stemperarsi. Queste “pulizie” possono allora gettare nuova luce sulla triade opera-autore-lettore (spettatore). Relazioni strette che svelano l’intricato ingarbugliarsi di azioni e riflessi, di soggetto e oggetto. “Non ho mai pensatoche le sue violente debolezze o il tormentato rapporto che aveva con il proprio orgoglio potessero farmi dire meno bene dei suoi romanzi”. Ma ho dovuto capire, prosegue Terranova riferendosi a Pavese, che la grandezza dell’opera dipende anche da esse, “finché non ho saputo guardare chi era […] non mi sono arresa alla sua grandezza”. Arrendersi all’evidenza dell’uomo e al rapporto ambiguo tra creatore e creazione vuol dire mettersi in gioco, diventare la terza pedina di un rapporto vivo tra autore e opera.
Non per questo, però, ho fomentato l’interesse verso il privato di un artista. E non credo d’altra parte che gli autori che amo avrebbero postato su un social la foto del piatto ben riuscito per la cena.
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La vita dell’artista
25/04/2021 emanuela commento libro BLOG, RECENSIONI
Nell’articolo “Attraverso le lenti di Cesare Pavese vediamo lo scontento della nostra vita” (“Tuttolibri”, 3 aprile 2021), la scrittrice Nadia Terranova tocca un tema interessante.
Non è l’opera di Cesare Pavese a interpellarmi qui (benché le sue considerazioni su Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950 invoglino a leggerlo senza indugi); ma il tema che Terranova chiama in causa per raccontare il suo rapporto con Pavese (e così vien voglia di leggere anche i testi di lei…). “Il rapporto che i lettori hanno con il privato degli autori è complesso, gli atteggiamenti divergono, qualcuno preferisce non sapere nulla, qualcuno invece sapere tutto. Molti si attestano su un atteggiamento di mezzo che ammicca alla prudenza, un rapporto ambivalente in cui l’enzima della curiosità oscilla tra il ritrarsi pudico e il cercare morboso.” In quale delle categorie di riconosciamo?
La mia posizione a riguardo è mutata nel tempo. In gioventù, mi piaceva credere che l’opera fosse l’unico elemento a dover parlare per l’autore. Tendevo a censurare la curiosità verso il vissuto degli artisti, ad astrarre l’opera dalla vita (neanche a dirlo, Pavese afferma: “riesce a compiere una certa opera soltanto chi valga di più di quest’opera”). Si sa che in gioventù gli assolutismi, le utopie e le estremizzazioni sono esche più potenti che nel resto della propria esistenza. Nei tentativi di conoscersi e conoscere la vita, quel periodo può lasciarci indulgere verso la finzione e una buona dose di vanità. Non porsi domande sull’uomo la cui opera ci appassiona potrebbe esser nutrito da altre ragioni? Terranova suggerisce una stimolante risposta: “la dicotomia è solo di superficie: se un romanzo ci ha parlato con voce tanto devastante e plateale, i segreti della vita di chi lo ha scritto non possono che appartenere a noi”. E se non ce ne siamo accorti è forse perché “non vogliamo che la realtà ci svegli”.
Con il tempo è possibile che ci si accorga dei sofisticati meccanismi che governano la mente e le nostre pulsioni; un po’ dell’ingombrante ego che imbroglia e imbriglia la visione della gioventù può stemperarsi. Queste “pulizie” possono allora gettare nuova luce sulla triade opera-autore-lettore (spettatore). Relazioni strette che svelano l’intricato ingarbugliarsi di azioni e riflessi, di soggetto e oggetto. “Non ho mai pensato che le sue violente debolezze o il tormentato rapporto che aveva con il proprio orgoglio potessero farmi dire meno bene dei suoi romanzi”. Ma ho dovuto capire, prosegue Terranova riferendosi a Pavese, che la grandezza dell’opera dipende anche da esse, “finché non ho saputo guardare chi era […] non mi sono arresa alla sua grandezza”. Arrendersi all’evidenza dell’uomo e al rapporto ambiguo tra creatore e creazione vuol dire mettersi in gioco, diventare la terza pedina di un rapporto vivo tra autore e opera.
Non per questo, però, ho fomentato l’interesse verso il privato di un artista. E non credo d’altra parte che gli autori che amo avrebbero postato su un social la foto del piatto ben riuscito per la cena.
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