La quarta di copertina (già “baricchiana” nello stile) racconta l’essenza del romanzo così: “Jasper Gwyn è uno scrittore. Vive a Londra e verosimilmente è un uomo che ama la vita. Tutt’a un tratto ha voglia di smettere. Forse di smettere di scrivere, ma la sua non è la crisi che affligge gli scrittori senza ispirazione. Jasper Gwyn sembra voler cambiare prospettiva, arrivare al nocciolo di una magia”.
La breve sinossi è uno specchio del testo, la narrazione asciutta e intima al limitare di una scrittura poetica e pulita: “ogni tanto, tra una domanda e l’altra, passava del silenzio vuoto, in cui entrambi misuravano quanto erano disposti a sapere, o spiegare, senza perdere il piacere di un certo mistero, che sapevano indispensabile”. Forma e contenuto sono l’una la proiezione dell’altro (curiosamente qui riecheggiano il Battiato di “e quando si trattava di parlare, aspettavamo sempre con piacere”, in Prospettiva Nievski).
Il “silenzio vuoto” del passaggio precedente lascia intendere in quanti modi si manifesta l’assenza del suono che chiamiamo silenzio. Il silenzio, la parola e il modo di porsi del corpo nello spazio – ambiente esterno e interno all’uomo – sono alcuni dei temi capitali del romanzo. Da un certo punto in poi, compare una vera e propria colonna sonora creata ad hoc per nutrire la creatività di Jasper Gwyn. Vorremmo ascoltarla e lasciamo che la nostra memoria sonora la riproduca nei gangli del nostro cervello.
La storia di Mister Gwyn, con quel tanto di assurdo che serve a non rendere stigmatizzata, impomatata, troppo seria la traccia narrativa, ha i tempi giusti di pause e racconto, di astrazione e descrizione.
Ha in sé la ricerca dell’ekphrasis, i modi con cui dire il visivo. Baricco non trova una soluzione “teorica” per trasformare la scrittura in qualcosa di visivo (inizialmente i personaggi “posano” per lo scrittore come davanti a un pittore). Sappiamo che la scrittura nasce anche visiva, fino a trasformarsi in immagine (negli ideogrammi, nei calligramma, in certi esperimenti di poesia visiva che prendono piede in occidente dal Futurismo in poi). Ma più che questo, a Baricco interessa capire cosa succede alla scrittura quando le si “sottrae la naturale possibilità del romanzo” e il carattere “pubblico” al mestiere di scrittore (un’indagine forse alla prima persona, che profuma di teoria, ma che si svolge tutta nella storia). Quindi non affronta il problema della soglia tra gesto pittorico e gesto visivo, immagine dipinta e immagine scritta. Tuttavia, gli espedienti visivi che racconta nella seconda parte del romanzo, soprattutto la meravigliosa trovata delle “lampadine-luce a tempo”, è profondamente lirica, un escamotage per disegnare il rapporto con il tempo dei personaggi principali. E per tracciare una sorta di prossemica che diventa la trama per comprendere le loro relazioni e, in generale, la relazione.
La storia in sé disegna un’oscillazione del desiderio e diventa un canto alla giustezza dell’usare il proprio talento. Una scrittura che rivela “la nuda realtà delle cose” senza fretta, magistralmente.
Durante una presentazione del libro (vedi il link sotto), Baricco racconta di come questi oggetti abbiano il potere di “decidere il passo”, il modo di stare nel tempo. I libri migliori, dice, sono proprio quelli per cui la scrittura suggerisce o impone il suo ritmo, dilatando o contraendo il tempo.
Un libro “scritto con gran piacere e divertimento” – e si sente! – che contempla tra i principali personaggi la luce e il tempo. “Si ricordò – fa dire ad uno di essi – di come qualsiasi incantesimo sia fragile oltre ogni dire, e velocissima la vita nel suo rapinare”. Non fatevelo scappare, questo incantesimo.
Mr Gwyn di Alessandro Baricco
26/09/2023 emanuela commento libro BLOG, RECENSIONI
La quarta di copertina (già “baricchiana” nello stile) racconta l’essenza del romanzo così:
“Jasper Gwyn è uno scrittore. Vive a Londra e verosimilmente è un uomo che ama la vita. Tutt’a un tratto ha voglia di smettere. Forse di smettere di scrivere, ma la sua non è la crisi che affligge gli scrittori senza ispirazione. Jasper Gwyn sembra voler cambiare prospettiva, arrivare al nocciolo di una magia”.
La breve sinossi è uno specchio del testo, la narrazione asciutta e intima al limitare di una scrittura poetica e pulita: “ogni tanto, tra una domanda e l’altra, passava del silenzio vuoto, in cui entrambi misuravano quanto erano disposti a sapere, o spiegare, senza perdere il piacere di un certo mistero, che sapevano indispensabile”. Forma e contenuto sono l’una la proiezione dell’altro (curiosamente qui riecheggiano il Battiato di “e quando si trattava di parlare, aspettavamo sempre con piacere”, in Prospettiva Nievski).
Il “silenzio vuoto” del passaggio precedente lascia intendere in quanti modi si manifesta l’assenza del suono che chiamiamo silenzio. Il silenzio, la parola e il modo di porsi del corpo nello spazio – ambiente esterno e interno all’uomo – sono alcuni dei temi capitali del romanzo. Da un certo punto in poi, compare una vera e propria colonna sonora creata ad hoc per nutrire la creatività di Jasper Gwyn. Vorremmo ascoltarla e lasciamo che la nostra memoria sonora la riproduca nei gangli del nostro cervello.
La storia di Mister Gwyn, con quel tanto di assurdo che serve a non rendere stigmatizzata, impomatata, troppo seria la traccia narrativa, ha i tempi giusti di pause e racconto, di astrazione e descrizione.
Ha in sé la ricerca dell’ekphrasis, i modi con cui dire il visivo.
Baricco non trova una soluzione “teorica” per trasformare la scrittura in qualcosa di visivo (inizialmente i personaggi “posano” per lo scrittore come davanti a un pittore). Sappiamo che la scrittura nasce anche visiva, fino a trasformarsi in immagine (negli ideogrammi, nei calligramma, in certi esperimenti di poesia visiva che prendono piede in occidente dal Futurismo in poi). Ma più che questo, a Baricco interessa capire cosa succede alla scrittura quando le si “sottrae la naturale possibilità del romanzo” e il carattere “pubblico” al mestiere di scrittore (un’indagine forse alla prima persona, che profuma di teoria, ma che si svolge tutta nella storia). Quindi non affronta il problema della soglia tra gesto pittorico e gesto visivo, immagine dipinta e immagine scritta.
Tuttavia, gli espedienti visivi che racconta nella seconda parte del romanzo, soprattutto la meravigliosa trovata delle “lampadine-luce a tempo”, è profondamente lirica, un escamotage per disegnare il rapporto con il tempo dei personaggi principali. E per tracciare una sorta di prossemica che diventa la trama per comprendere le loro relazioni e, in generale, la relazione.
La storia in sé disegna un’oscillazione del desiderio e diventa un canto alla giustezza dell’usare il proprio talento. Una scrittura che rivela “la nuda realtà delle cose” senza fretta, magistralmente.
Durante una presentazione del libro (vedi il link sotto), Baricco racconta di come questi oggetti abbiano il potere di “decidere il passo”, il modo di stare nel tempo. I libri migliori, dice, sono proprio quelli per cui la scrittura suggerisce o impone il suo ritmo, dilatando o contraendo il tempo.
Un libro “scritto con gran piacere e divertimento” – e si sente! – che contempla tra i principali personaggi la luce e il tempo. “Si ricordò – fa dire ad uno di essi – di come qualsiasi incantesimo sia fragile oltre ogni dire, e velocissima la vita nel suo rapinare”.
Non fatevelo scappare, questo incantesimo.
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