Sul treno. Cerco il posto, mi siedo. Il ragazzo davanti sbircia il libro che ho in grembo con evidente curiosità. Potrei iniziare una conversazione, ma preferisco alzare occhi e comunicargli telepaticamente che è un bel libro. Ricevo per risposta palpebre che si socchiudono e l’abbandono a un pisolino. Forse devo ripassare la grammatica della telepatia.
Proseguo nella lettura e incontro riflessioni che mi interessano, che vivo, che uso. Nietzsche e il buddhismo zen: quanto mi piacciono le comparazioni ardite, quanto credo naturalmente in una comune origine dell’uomo, senza differenze di cultura. Nel fondo universale dell’essere, nel pieno rispetto di contesti diversi, c’è un nucleo comune senza connotazioni di tempo e spazio, che si tratti dei babilonesi di oltre 3000 anni a fa del Giappone high-tech di oggi. “Una cultura superiore deve dare all’uomo un doppio cervello, qualcosa come due camere cerebrali, una per sentirci la scienza, un’altra per sentirci la non scienza; che stiano una accanto all’altra senza confusione, separabili, isolabili: è questa un’esigenza di salute”. È la voce di Nietzsche che parla, nella scelta proposta da Giangiorgio Pasqualotto in uno dei saggi di Oltre la filosofia. Percorsi di saggezza tra Oriente e Occidente (Angelo Colla Editore, 2008). Il filosofo vicentino ha dedicato tutta la carriera a questi studi comparativi, conosce il pensiero occidentale e quello orientale come pochi in Italia.
Le analogie tra il pensiero nietzschiano e quello zen sono strette, da brividi. Chiunque sia in quello spirito e incontri il pensiero di Nietzsche lo intuirebbe rapidamente (e viceversa). La frase sopra mi piace per via dell’immagine del doppio cervello e dell’affermazione sull’esigenza di salute. Si trova in Umano, troppo umano, libro che non ho letto e che perciò non dovrei permettermi di commentare. Per trovare il senso, sempre andare alla fonte, questo mi è chiaro.
Tuttavia, fatico a trattenere una visione intuitiva, un frammento della cosa anche in assenza della cosa. Guardo fuori dal finestrino e seguo la mente che va: perché il cervello dovrebbe essere uno? “Quando cerchiamo le cose non c’è null’altro che la mente e quando cerchiamo la mente non v’è null’altro che le cose”, mi ricorda un altro debosciato della cultura, Alan Watts. Se la mente è un contenitore vuoto, ogni cosa può appoggiarvisi con evidenza ed essere quello che è, in forma di scienza o di non-scienza.
Già, ma cosa contengono queste due definizioni? Per la prima, qualsiasi dizionario recita la necessità di un’attività di ricerca, di un metodo rigoroso (di una codificazione quindi) e della finalità di produrre conoscenza (spesso applicata ai fenomeni che nascono da quel che chiamiamo realtà). Per l’altra, non esiste una voce in capitolo, basta sostenere che è tutto ciò che non rientra nella prima? Difficile trovare un riferimento univoco. E temo che il taglio aforistico di Umano, troppo umano non mi darà granché soddisfazione.
Quel che concludo però non mi sembra complicato (l’effetto di quella visione fulminea): Nietzsche sostiene che è sano abbracciare le contraddizioni (lo afferma nei Frammenti postumi: “l’uomo più saggio sarebbe quello più ricco di contraddizioni”). Perché, come si legge nella Raccolta della roccia blu: “quando sorge un granello di polvere, la grande terra è contenuta in esso; quando un solo fiore sboccia, sorge il mondo”. L’esigenza è lo sguardo o l’abbraccio senza filtro di tutto quel che ci è dato e che siamo.
Mi piacciono ancora i viaggi in treno. A volte mi sembrano troppo brevi sia per gli allenamenti di telepatia che per leggere Nietzsche. Forse la transiberiana?
Nietzsche e il buddhismo zen
07/02/2019 emanuela blog, commento libro, filosofia, meditazione, Zen BLOG, RECENSIONI
Sul treno. Cerco il posto, mi siedo. Il ragazzo davanti sbircia il libro che ho in grembo con evidente curiosità. Potrei iniziare una conversazione, ma preferisco alzare occhi e comunicargli telepaticamente che è un bel libro. Ricevo per risposta palpebre che si socchiudono e l’abbandono a un pisolino. Forse devo ripassare la grammatica della telepatia.
Proseguo nella lettura e incontro riflessioni che mi interessano, che vivo, che uso. Nietzsche e il buddhismo zen: quanto mi piacciono le comparazioni ardite, quanto credo naturalmente in una comune origine dell’uomo, senza differenze di cultura. Nel fondo universale dell’essere, nel pieno rispetto di contesti diversi, c’è un nucleo comune senza connotazioni di tempo e spazio, che si tratti dei babilonesi di oltre 3000 anni a fa del Giappone high-tech di oggi.
“Una cultura superiore deve dare all’uomo un doppio cervello, qualcosa come due camere cerebrali, una per sentirci la scienza, un’altra per sentirci la non scienza; che stiano una accanto all’altra senza confusione, separabili, isolabili: è questa un’esigenza di salute”. È la voce di Nietzsche che parla, nella scelta proposta da Giangiorgio Pasqualotto in uno dei saggi di Oltre la filosofia. Percorsi di saggezza tra Oriente e Occidente (Angelo Colla Editore, 2008). Il filosofo vicentino ha dedicato tutta la carriera a questi studi comparativi, conosce il pensiero occidentale e quello orientale come pochi in Italia.
Le analogie tra il pensiero nietzschiano e quello zen sono strette, da brividi. Chiunque sia in quello spirito e incontri il pensiero di Nietzsche lo intuirebbe rapidamente (e viceversa). La frase sopra mi piace per via dell’immagine del doppio cervello e dell’affermazione sull’esigenza di salute. Si trova in Umano, troppo umano, libro che non ho letto e che perciò non dovrei permettermi di commentare. Per trovare il senso, sempre andare alla fonte, questo mi è chiaro.
Tuttavia, fatico a trattenere una visione intuitiva, un frammento della cosa anche in assenza della cosa. Guardo fuori dal finestrino e seguo la mente che va: perché il cervello dovrebbe essere uno? “Quando cerchiamo le cose non c’è null’altro che la mente e quando cerchiamo la mente non v’è null’altro che le cose”, mi ricorda un altro debosciato della cultura, Alan Watts. Se la mente è un contenitore vuoto, ogni cosa può appoggiarvisi con evidenza ed essere quello che è, in forma di scienza o di non-scienza.
Già, ma cosa contengono queste due definizioni? Per la prima, qualsiasi dizionario recita la necessità di un’attività di ricerca, di un metodo rigoroso (di una codificazione quindi) e della finalità di produrre conoscenza (spesso applicata ai fenomeni che nascono da quel che chiamiamo realtà). Per l’altra, non esiste una voce in capitolo, basta sostenere che è tutto ciò che non rientra nella prima? Difficile trovare un riferimento univoco. E temo che il taglio aforistico di Umano, troppo umano non mi darà granché soddisfazione.
Quel che concludo però non mi sembra complicato (l’effetto di quella visione fulminea): Nietzsche sostiene che è sano abbracciare le contraddizioni (lo afferma nei Frammenti postumi: “l’uomo più saggio sarebbe quello più ricco di contraddizioni”). Perché, come si legge nella Raccolta della roccia blu: “quando sorge un granello di polvere, la grande terra è contenuta in esso; quando un solo fiore sboccia, sorge il mondo”. L’esigenza è lo sguardo o l’abbraccio senza filtro di tutto quel che ci è dato e che siamo.
Mi piacciono ancora i viaggi in treno. A volte mi sembrano troppo brevi sia per gli allenamenti di telepatia che per leggere Nietzsche. Forse la transiberiana?
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