Senza un minimo di follia e una quantità indescrivibile di tenacia, senso pratico e visionarietà nessuna creazione può avvenire in questo genere di ambiente.
Ora che ho passato un periodo di lavoro al Samasati, in Costa Rica, guardo con molta più ammirazione chiunque abbia intrapreso un progetto laddove la natura è selvaggia.
Il Samasati è un resort immerso nella giungla. Vuol dire che passando dal proprio bungalow alla sala di pratica, può capitare di doversi scansare per un ramo rotto da un gruppo di scimmie urlatrici che stanno litigando almeno venti metri più su, o capire come far uscire dalla propria stanza una delle minuscole rane rosse bellissime eppure potenzialmente velenose. Vuol anche dire che dall’edificio centrale della reception, terrazza-sala da pranzo, colibrì, tucani, farfalle dai colori più improbabili facciano capolino avvicinandosi anche di molto; oppure che quel misto tra coniglio, tapiro, roditore vario che è l’aguto scappi rapidamente a qualche passo dai tuoi piedi.
In realtà per entrare senza riserve nell’abbraccio della giungla, basta percorrere uno qualsiasi dei sentieri segnalati dal resort (per inciso: è inimmaginabile la quantità di lavoro che i braccianti devono compiere per far sì che scalini, staccionate e altri seppur essenziali sostegni restino agibili dopo una delle piogge torrenziali che in maggio scandiscono la quotidianità). Penetrando all’interno della penombra della giungla, la potenza incontrollabile, generosa e impietosa della natura si palesa in un lampo. Subito ci si accorge che tutt’attorno pullulano migliaia di esseri vegetali e animali, quasi impossibile non sentirsi ospiti di passaggio.
Il mio progetto qui, in un certo senso, era raccolto, “protetto”: tenere lezioni pratiche e teoriche di yoga in una splendida sala pulita ogni giorno. Ma tra una lezione e l’altra, quando ho cominciato ad addentrarmi nei sentieri della giungla, ho immediatamente percepito la grandiosità di qualsiasi impresa compiuta tra le maglie di quella folta vegetazione (soprattutto se ci si addentra con il principio di rispettarla).
Ragazzi, non si scherza! Ho immaginato cameramen, botanici, artisti e altri intrepidi avventurieri provare a portare avanti il loro progetto in posti dove la natura la fa da padrona. Ho visto la fatica di stare ore chinati a riprendere un formicaio, un ragno, un animale notturno, sdraiati sulla terra bagnata, tra insetti che pungono, calore, umidità e varie… Ho visto chiaramente la costanza e la forza di chiunque debba trascorre un tempo lungo (registrare, fotografare, montare un set…) nella natura estrema.
Ho ripensato all’impresa infinita del Fitzcarraldo di Herzog* e a tutte quelle persone più o meno celebri che han voluto raccontare il selvaggio attraverso un prodotto culturale. Senza un minimo di follia e una quantità indescrivibile di tenacia, senso pratico e visionarietà nessuna creazione può avvenire in questo genere di ambiente. Ma ho come l’impressione che l’eco di quel genere di esperienze possano nutrire una vita intera.