Contraddizioni? Fino a un certo punto, perché è la base ad esser equivoca. All’uomo è dato il tempo, l’atemporalità è un’astrazione indimostrabile. Eppure, come suggerisce nel suo bel testo sul camminare Frédéric Gros, “la prima eternità che s’incontra è quella delle pietre, del movimento delle pianure, delle linee d’orizzonte: tutto ciò resiste. E trovarsi di fronte a quella solidità che ci sovrasta fa apparire i fatti di cronaca, le povere notizie, come granelli di polvere spinti dal vento” (F. Gros, Andare a piedi. Filosofia del camminare, Garzanti, 2013).
Quando si pratica yoga, quando si crea, quando si cammina spassionatamente è possibile percepire quella meraviglia che pare liberata dal tempo: “non si è più un ruolo, né una condizione, nemmeno un personaggio, ma un corpo” e benché il corpo abbia inevitabilmente un’età, esso “diventa un impasto della terra che calpesta” (Gros).
Se non diversamente indicato, le citazioni sono estrapolate dal testo: B. Viola, Nero video. La mortalità dell’immagine, Castelvecchi, 2016, 5€
Nero Video, Bill Viola (Part 2)
08/05/2017 emanuela blog, commento libro BLOG, RECENSIONI
Nero Video
La prima delle tre riflessioni di Viola sull’immagine (e in generale sul rapporto dell’uomo al tempo) va all’eternità. Lo seguiamo concedendoci licenze poetiche, spaziando dalle sue riflessioni puntuali a note più ampie, meno legate al tema dell’immagine.
L’icona e l’immagine senza tempo
Mettere insieme eternità e immagine vuol dire parlare di icona. Di fatto, sebbene la parola greca significhi semplicemente “immagine”, a seguito dell’iconoclastia bizantina, l’icona diventa un oggetto preciso: una tavola dal fondo oro (o argento) raffigurante un volto dipinto di Cristo o della Vergine (e qualche altro raro santo). Da lì in poi, alla riproduzione d’immagini sacre si è riservato ben altro atteggiamento, tuttavia l’icona resta un modo per definire l’esclusività del soggetto rappresentato e il suo potere altamente simbolico.
Così intesa, oggi l’icona si ammanta di forme diverse: dall’immagine del personaggio mediatico a quella dell’oggetto high-tech; dall’avatar che ci costruiamo sui social ai marchi brandizzati che popolano le nostre case, essa diventa “qualsiasi immagine che abbia acquisito potere attraverso l’uso come oggetto di culto”. Un culto prevede un rito, e perché ci sia rito occorre un ordine indiscutibile, una consuetudine inderogabile. Perciò l’icona è in relazione al sacro, è l’incarnazione oggettuale o processuale di ciò che è venerato.
Nondimeno, perché un’immagine o un oggetto si “iconizzi” è necessario un uso prolungato: “è come se l’incessante atto di adorazione/venerazione lasciasse un residuo che negli anni cresce”. Questa è la maggiore differenza tra le icone dell’antichità e quelle contemporanee: la scadenza usa e getta delle cose di oggi e l’inossidabilità di quelle di altri tempi.
Contraddizioni? Fino a un certo punto, perché è la base ad esser equivoca. All’uomo è dato il tempo, l’atemporalità è un’astrazione indimostrabile. Eppure, come suggerisce nel suo bel testo sul camminare Frédéric Gros, “la prima eternità che s’incontra è quella delle pietre, del movimento delle pianure, delle linee d’orizzonte: tutto ciò resiste. E trovarsi di fronte a quella solidità che ci sovrasta fa apparire i fatti di cronaca, le povere notizie, come granelli di polvere spinti dal vento” (F. Gros, Andare a piedi. Filosofia del camminare, Garzanti, 2013).
Quando si pratica yoga, quando si crea, quando si cammina spassionatamente è possibile percepire quella meraviglia che pare liberata dal tempo: “non si è più un ruolo, né una condizione, nemmeno un personaggio, ma un corpo” e benché il corpo abbia inevitabilmente un’età, esso “diventa un impasto della terra che calpesta” (Gros).
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