un evento espositivo dedicato alla mostra Dal Nulla al Sogno
Gli studenti di Fotografia dell’Istituto Europeo di Design di Torino, a seguito della visita in Fondazione Ferrero, interpretano la mostra Dal Nulla al Sogno trasformandola in progetti a carattere artistico sul tema del rapporto tra spazio, opera, spettatore.
Uno scambio che testimonia il successo di questa esposizione sul giovane pubblico, dimostrando come la creatività giovanile possa rileggere la Storia dell’Arte in maniera viva e stimolante.
Un momento di dialogo e riflessione aperto a tutti coloro che han visitato Dal Nulla al Sogno per un ulteriore confronto con le opere dadaiste e surrealiste.
comunicato stampa “dopo la mostra”
La mostra, lo spettatore, lo spazio
Entrare in un luogo deputato a raccogliere arte è parte di un’esperienza che chiama in causa sensi e intelletto. Paolo Rosa, rileggendo Remo Bodei, invitava a rivolgersi all’arte come a un utile mezzo per “disincagliare i sensi” e percepire l’inscindibile unicum di mente e corpo che ci rappresenta.
In una mostra, la relazione tra facoltà sensoriale e facoltà mentale è accolta e manifestata dalla dimensione dello spazio, l’atmosfera prodotta da spettatore, opere e allestimento. Questa speciale condizione di unione tra soggetto e oggetto è stato il fulcro del corso annuale di Fenomenologia dell’Arte Contemporanea seguito dagli autori esposti in Dopo la mostra. L’esercizio rivolto da Emanuela Genesio agli studenti di Fotografia dell’Istituto Europeo di Design di Torino nasce da questo spunto, con la finalità di sollecitare la ricerca dei dispositivi e temi utili a evocare ciò che può definire la dimensione ampia di “mostra” nelle dinamiche tra oggetto esposto, movimenti dello spettatore e apparati di allestimento. La complessa equazione che ne risulta è divenuta il trampolino di lancio per la realizzazione di un progetto che, dagli assunti filosofici della Fenomenologia, si apre all’arte contemporanea e alla sua capacità di manifestare sensorialmente il rapporto tra corpi materici (dell’opera, dello spettatore, dell’allestimento) e spazi informazionali (percettivi, intellettivi, estetici).
La scelta della tecnica da adottare, così come quella relativa alla postproduzione, l’opzione tra il bianco e nero o il colore, l’immagine analogica o digitale, lo scatto fotografico o la sequenza video, non è stata imposta.
Le opere
Questa libertà ha dato vita a opere molto diverse tra loro, consentendo esisti anche lontani dal mezzo fotografico.
È il caso della performance in cui il corpo è il veicolo principale di comunicazione. Daniele Escoffier la abbina alla fotografia chiedendo al pubblico di interagire come se si trattasse di un gioco. Altri fotografi hanno prediletto il video e l’audio: Silvia Raffaelli ha rielaborato una serie di frequenze registrate in mostra per produrre un sottofondo onirico che evoca l’amalgama di suoni della fase R.E.M. del nostri sogni. Anche il video di Matteo Montenero richiama la dimensione onirica, attraverso una sequenza temporale visivo-sonora nata da un solo scatto registrato in mostra. Tramite un ripresa girata con il proprio smartphone, Chiara Brunero invita a riflettere sul tema della fruizione attraverso i mezzi contemporanei; mentre Leonardo Tilatti si concede un libero reportage intervistando il progettista della mostra, Danilo Manassero.
Se la virtualità di Instagram diventa per Giulia Murgia un mezzo per elaborare indefinitamente gli scatti e riflettere sul senso del “visitare una mostra”, all’opposto, Luca Farinet predilige la manipolazione della materia concreta, lavorando sul corpo chimico della stampa fotografica per giungere a un’immagine “informale” ben distante dalla fotografia scattata in partenza.
Tuttavia, è spesso l’oggetto a farsi esito di queste ricerche. Si tratta a volte di un oggetto giocoso, da maneggiare, come dell’oggetto-mirino con cui Elisa Nobile invita a ricreare interattivamente i ricordi della mostra e della sorta di “Domino” che Alessandro De Bellis costruisce a partire dalle opere e parole sulla mostra più cliccate del web. Compare poi anche un vero e proprio libro d’artista da sfogliare, che Alberto Berardino progetta per portarci “dal sogno al nulla” e una stola da arredamento che Paolo Maletta ha disegnato facendo l’occhiolino ad alcuni oggetti daliniani.
Alcune opere si situano a metà strada tra l’oggetto e la fotografia bidimensionale: un “Leporello” progettato da Marta Testi per rivisitare le sale della mostra, o la rilettura di alcune opere in forma di cartolina vecchio stile da parte di Giulia Ramazzina; infine, una rivisitazione della scacchiera di Man Ray del 1934 attraverso i ritratti dei colleghi in mostra creata da Marta Scavone.
Altri fotografi hanno optato per una postproduzione piuttosto rilevante: Luigi Greco trasforma alcuni scatti delle sale della mostra in schizzi d’architetto; Alessia Izzo e Carlotta Gariazzo si concentrano sullo studio del corpo degli spettatori in mostra, realizzando immagini dallo stile pop. Nicolò Nastasia sfrutta i mezzi digitali per produrre delle immagini ineffabili, un bianco su bianco che evoca la consistenza nebulosa dei sogni.
Resta però anche la fotografia più classicamente intesa, come quella di Andrea Camiolo che, grazie a un tempo lungo di scatto, trasforma l’immagine di alcune sale della mostra in astrazioni. Elisa Pera gioca con il pubblico sollecitandolo a indovinare a quali opere appartengano i dettagli fotografati e Giovanna Serra, facendo eco alla tecnica surrealista del cadavre esquis, propone visioni di opere nuove ricomposte a partire da sezioni di dipinti originali. Infine Daniel Vargas isola con rigore minimalista quei particolari poco osservati all’interno dello spazio espositivo come le telecamere di sicurezza e Sibilla Galli raccoglie e ricompone poeticamente insieme di particolari in cui una linea retta evoca l’orizzonte.