Nel vocabolario di tutti i giorni quando usiamo il termine energia, possiamo fare riferimento a un concetto che può biforcarsi. Possiamo intendere una forza in azione, ciò che gli antichi greci chiamavano enérgeia; oppure dýnamis, una forza in potenza, esistente prima/oltre/in assenza dell’azione (e anche nell’azione).
Nella cultura indiana dello yoga, questo concetto si può unificare nella parola prana, il soffio vitale che circola in forme diverse nell’universo (il qi della cultura cinese). Questa energia si “coagula” in alcuni crocevia, nuclei di forza in potenza che costituiscono l’equilibrio della persona, i chakra.
Lo yoga racconta che in noi c’è tutto: abbracciando pienamente la vita avviene un riconoscimento delle qualità insite nel nostro essere. Queste qualità non sono positive o negative, sono misure da immergere nell’azione, caratteristiche da mettere in uso. Sono come essenze, colori puri che possono essere sfumati e dosati. Sette se ne individuano, definite come concentrazioni di flussi e dinamiche che circolano e si intensificano in cerchi – o ruote – di sintesi concentrata. Questi sette punti, sono la manifestazione della rispondenza tra micro e macro, uno dei mezzi che l’uomo può utilizzare per riconoscere la coincidenza tra il sé e ciò che chiamiamo realtà.
Nella cultura yogica sistematizzata da Patañjali, i chakra sono pensati come gradini di una scala che dal grossolano porta al sottile, dallo stadio impulsivo-animale a quello saggio-divino. L’evoluzione dell’uomo è concepita in senso lineare e gerarchico, come il linguaggio scritto e la logica della razionalità ci permettono di formulare. Eppure questo modo d’intendere la conoscenza – che non è l’unico – non rende giustizia alla natura neutra di quelle qualità, al loro essere senza distinzione di valore.
Altrove, si afferma che proprio in virtù della sua umanità, l’essere umano è tutti i sette chakra, perciò localizzabili in sezioni o organi specifici del corpo, in attitudini psicologiche o inclinazioni mentali connotate. Dalla base della colonna vertebrale alla sommità della testa, da un livello di mera sopravvivenza alla saggezza, l’uomo è abitato da ognuno di questi sette punti, presenti simultaneamente e non in maniera separata o diacronica. La forza di gravità ci fa chiamare terra quello che sta sotto i piedi e cielo quel che sta sopra e ha la consistenza gassosa dell’aria. Ma a nessuno è dato sapere se ciò che sta sopra è meglio di quel che sta sotto, perché noi esseri umani abbiamo bisogno di entrambi.
Giovanni Anselmo, uno degli artisti italiani ad aver alimentato alla fine degli anni Sessanta il movimento dell’Arte Povera, ha lavorato costantemente a manifestare il concetto di energia attraverso il rapporto tra materiali, spazio e forze. Sono sue queste belle parole: “io, il mondo, le cose, la vita, siamo delle situazioni di energia. Ed il punto è proprio di non cristallizzare tali situazioni, bensì di mantenerle vive in funzione del nostro vivere”(1969). La “situazione” è una condizione in cui si verifica un evento: la forza vitale è tale perché è un processo e accorpa l’enérgeia e la dýnamis.
Da un po’ di tempo a questa parte, Anselmo propone installazioni in cui compare come titolo-informazione questa dicitura: Dove le stelle si avvicinano una spanna in più. Insieme al suggerire un dato astronomico misurabile, nei titoli spesso Anselmo indica degli avvenimenti, dati sottoposti al divenire (le opere con cui si fece conoscere erano torsioni, sollecitazioni di corpi solidi sottoposti all’azione di una coppia di forze).
In un’intervista raccolta durante l’installazione di un’opera omonima nel parterre della Venaria Reale a Torino, Anselmo spiega che quelle sei lastre di granito nero sono disposte lungo la direzione nord sud dell’asse terrestre. Sulle facce superiori è inciso il titolo che registra quello che l’opera fa, da lui chiarite così: “ridurre la distanza con le stelle attraverso una misura umana” è un’azione che “ci rende agenti possibili in una storia che non ha fine. Questa piccola misura della mano è uno strumento importante”.
A volte non c’è bisogno di scomodare grandi filosofie dell’oriente per parlare di concetti d’immanenza, effimero o energia. La cultura occidentale può farlo in un modo sorprendentemente prossimo a quel che superficialmente definiamo orientale.