C’è un librino nella collana “i piccoli e grandi libri” di Garzanti che contribuisce a ricordarci della necessità di stare in contemplazione in natura. Ascoltare gli alberi s’intitola (2019) e consiste in una breve raccolta di alcuni testi scritti da Henry David Thoreau.
Autore del celebre Walden. Vita nel bosco, Thoreau è detto “il fondatore, se non proprio di una religione, di un modo di concepire il mondo, nonché di vivere il rapporto con la Natura e con se stessi” (Corrado Augias sul sito Il mio libro). Considerato oggi uno dei più incisivi precursori del pensiero ecologista, lo scrittore americano rappresenta uno dei filosofi che meglio incarnano la capacità di mettere in pratica la teoria in un costante e inesauribile rapporto con la vita: “il massimo uomo di scienza è l’uomo più vivo, la cui vita è l’evento più grande”, scrisse il 6 maggio del 1854 sul suo Diario. Al di là dell’importanza dell’apporto epistemologico che il suo lavoro comporta, è nella prospettiva dell’attualità contemporanea che la sua opera acquista ancora più significato.
“Oggi mi sono fermato accanto al fiume a considerare le forme degli olmi riflessi nell’acqua. […] È come se a volte la Natura, con l’alzarsi delle acque si portasse uno specchio al piede e la rendesse visibile” (Diario, 15 giugno 1840). L’uomo tende a leggere la natura come uno specchio per interpretare se stesso e raramente si pone in secondo piano, non imponendole un metro di giudizio univoco. Thoreau sa che “solo la Natura può esagerare se stessa”, che “la più bassa delle acque ferme è insondabile” (Una settimana sui fiumi Concord e Merrimack). Il suo sguardo non s’impone, ma osserva. Accogliere le “profondità atlantiche” della Natura è possibile attraverso la contemplazione, una disposizione a porsi come spettatori, pedine non indispensabili ma comunque sensibili agenti di essa.
È strano, annotava Thoreau più di centocinquant’anni fa, che tante persone preferiscano guardare un’immagine di un bosco piuttosto che camminare in un bosco. Oggi il progresso tecnologico ha permesso di trasformare quelle immagini bidimensionali in realtà virtuale 3D, di far sì che i sensi siano completamente coinvolti come nella realtà non riprodotta.
Non diciamo se sia bene o male, ma proponiamo a chi non l’ha mai fatto di affondare i piedi nella materia melmosa di una palude. Thoreau conosceva gli aspetti amabili e quelli feroci della natura. Sapeva che il bianco e il nero, in Natura, non sono il prodotto di una proiezione, ma agenti dello spazio-tempo che l’uomo esperisce sporcandosi, immergendosi nella vita: “Quando desidero rinnovarmi, vado in cerca del bosco più buio, della palude più densa e interminabile e, per l’uomo civile, più tetra. […] là è la forza, il midollo della Natura. […] La salvezza di una città non è dovuta agli uomini retti che la abitano più che ai boschi e alle paludi che la circondano. […] Una comunità sopra la quale svetta una foresta primitiva, mentre un’altra foresta marcisce al di sotto, tale città è atta a far crescere non solo granturco e patate, ma poeti e filosofi nelle epoche a venire” (in Camminare).
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Uomo e Natura
28/10/2020 emanuela commento libro, natura cultura BLOG, RECENSIONI
C’è un librino nella collana “i piccoli e grandi libri” di Garzanti che contribuisce a ricordarci della necessità di stare in contemplazione in natura. Ascoltare gli alberi s’intitola (2019) e consiste in una breve raccolta di alcuni testi scritti da Henry David Thoreau.
Autore del celebre Walden. Vita nel bosco, Thoreau è detto “il fondatore, se non proprio di una religione, di un modo di concepire il mondo, nonché di vivere il rapporto con la Natura e con se stessi” (Corrado Augias sul sito Il mio libro). Considerato oggi uno dei più incisivi precursori del pensiero ecologista, lo scrittore americano rappresenta uno dei filosofi che meglio incarnano la capacità di mettere in pratica la teoria in un costante e inesauribile rapporto con la vita: “il massimo uomo di scienza è l’uomo più vivo, la cui vita è l’evento più grande”, scrisse il 6 maggio del 1854 sul suo Diario. Al di là dell’importanza dell’apporto epistemologico che il suo lavoro comporta, è nella prospettiva dell’attualità contemporanea che la sua opera acquista ancora più significato.
“Oggi mi sono fermato accanto al fiume a considerare le forme degli olmi riflessi nell’acqua. […] È come se a volte la Natura, con l’alzarsi delle acque si portasse uno specchio al piede e la rendesse visibile” (Diario, 15 giugno 1840). L’uomo tende a leggere la natura come uno specchio per interpretare se stesso e raramente si pone in secondo piano, non imponendole un metro di giudizio univoco. Thoreau sa che “solo la Natura può esagerare se stessa”, che “la più bassa delle acque ferme è insondabile” (Una settimana sui fiumi Concord e Merrimack). Il suo sguardo non s’impone, ma osserva. Accogliere le “profondità atlantiche” della Natura è possibile attraverso la contemplazione, una disposizione a porsi come spettatori, pedine non indispensabili ma comunque sensibili agenti di essa.
È strano, annotava Thoreau più di centocinquant’anni fa, che tante persone preferiscano guardare un’immagine di un bosco piuttosto che camminare in un bosco. Oggi il progresso tecnologico ha permesso di trasformare quelle immagini bidimensionali in realtà virtuale 3D, di far sì che i sensi siano completamente coinvolti come nella realtà non riprodotta.
Non diciamo se sia bene o male, ma proponiamo a chi non l’ha mai fatto di affondare i piedi nella materia melmosa di una palude. Thoreau conosceva gli aspetti amabili e quelli feroci della natura. Sapeva che il bianco e il nero, in Natura, non sono il prodotto di una proiezione, ma agenti dello spazio-tempo che l’uomo esperisce sporcandosi, immergendosi nella vita: “Quando desidero rinnovarmi, vado in cerca del bosco più buio, della palude più densa e interminabile e, per l’uomo civile, più tetra. […] là è la forza, il midollo della Natura. […] La salvezza di una città non è dovuta agli uomini retti che la abitano più che ai boschi e alle paludi che la circondano. […] Una comunità sopra la quale svetta una foresta primitiva, mentre un’altra foresta marcisce al di sotto, tale città è atta a far crescere non solo granturco e patate, ma poeti e filosofi nelle epoche a venire” (in Camminare).
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