Christo: il transitorio, l’interdisciplinarità e il sodalizio creativo di coppia
La storia dell’arte contemporanea ha perso un tassello delle sue fondamenta. Con la morte di Christo, uno degli artisti più rivoluzionari del Novecento, gli anni Duemila sembrano un po’ più vuoti, lontani da quel carattere di profondo rinnovamento che designa i primi settantanni del secolo breve.
Non è questo il luogo per commentare il rapporto tra il XX e XXI secolo, ma piuttosto per ricordare alcune delle caratteristiche che rendono unico e importante l’operato dell’artista bulgaro e della moglie francese Jeanne-Claude (scomparsa nel 2009). Dagli anni Sessanta la coppia diventa un unico artista, con una testa sola, competenze diverse una comune sete di libertà e tenacia.
Il primo è ciò che potremmo definire “il canto della transitorietà nel rispetto del ciclo della vita”. Si può affermare in maniera larga che l’arte del Novecento si pulisce dalla necessità dell’eternità per mettere a nudo l’impermanenza che caratterizza la vita. Christo e Jeanne-Claude hanno abbracciato a pieno questa constatazione producendo opere effimere, progettate per durare temporaneamente. Le loro parole sono chiare a riguardo: “un’opera d’arte temporanea dà luogo a un sentimento di fragilità e vulnerabilità, all’urgenza di vedere e insieme alla consapevolezza dell’assenza, perché sappiamo che domani non ci sarà più. Il tipo di amore e tenerezza che gli esseri umani provano verso ciò che non è destinato a durare, ad esempio l’amore e la tenerezza per l’infanzia e per la nostra vita, è ciò che vogliamo infondere nel nostro lavoro come qualità estetica supplementare”.
I due artisti si occupavano personalmente di trovare collaborazioni per montare, smontare e smaltire i materiali usati. Non transigevano sul diktat autoimposto di lasciare ogni cosa come la si trovava, la presenza dell’opera prolungata soltanto nella memoria di chi l’ha vissuta direttamente o attraverso i media.
“Comunicazione efficace e fiducia nelle public relations” è infatti l’altro elemento di valore da chiamare in causa per descrivere il loro lavoro. Molto spesso la coppia ha trascorso mesi, interi anni per presentare alla pubblica amministrazione i progetti più mastodontici – i vari impacchettamenti delle architetture e delle fasce costiere marine o isole di fiumi per esempio – rifiutando cocciutamente sponsor privati e sostenendosi attraverso la vendita di quel che chiamavano “arte portatile”, disegni, schizzi, modellini dei diversi progetti.
Il terzo è l’amalgama senza soluzione di continuità tra arte e architettura. La qualità e pertinenza della loro ricerca sul rapporto tra uomo e natura, sulla percezione dello spazio e il concetto di atmosfera, fa sì che i confini tra libertà di azione, tipica dell’arte, e funzione della progettualità, tipica dell’architettura, svaniscano. La mirabolante bellezza dei loro disegni – precise mappe progettuali e libere espressioni creative al tempo stesso, ne sono una dimostrazione. L’effetto di meraviglia che sollevano in molte persone le opere esperite dal vivo, d’altra parte, non fa che testimoniare la precisione e la “giustezza funzionale” (spesso “praticabile”) del disegno architettonico-ingegneristico del progetto d’origine. La loro capacità di lavorare “in grandeur”, ciò che potrebbe sembrare una mossa facile per catturare l’attenzione del pubblico meno esperto, non va in realtà a scalfire la profondità della ricerca stilistica, per altro a carattere essenzialmente minimalista, della coppia di artisti.
Si potrebbero ancora aggiungere altri elementi di valore alla sua arte, ma ci piace piuttosto a tornare sul fatto che Christo e Jeanne-Claude siano sempre stati una coppia nell’arte e nella vita. Non ci interessano i loro fatti privati, ma la bellezza che il loro operato a quattro mani abbia prodotto per più di cinquant’anni.
Per leggere, vedere e andare all’incontro della loro arte, si può cominciare dal loro sito indicato qui a fianco.