La sosta sull’opera di Olafur Eliasson per il corso di Fenomenologia è necessaria. Anche soddisfacente, direi, perché il primato fenomenologico della percezione come dispositivo di consapevolezza è pane quotidiano della sua ricerca. Ho cominciato a interessarmi alla sua opera fin dagli esordi; un certo distacco dalla sua estetica mi ha permesso di apprezzare la sua intelligenza applicata e la coerenza del suo pensiero. Eliasson sa enunciare chiaramente metodi e processi attraverso l’analisi delle proprie operazioni attraverso conferenze, testi e interviste; ha fondato una scuola a Berlino in cui la didattica è indubbiamente un elemento rilevante per la comprensione delle regole del fare o, più radicalmente, per crearle. Dopo aver letto la raccolta di scritti sparsi Leggere è respirare, è divenire ho ricevuto conferma che la teoria non è il suo scopo. Normale, direte voi, è un artista, non un filosofo. Tuttavia ascoltandolo, si è tentati di credere che la sua opera sia un esito o un’origine di un approccio teorico-filosofico.
Questa raccolta di appunti sparsi (la selezione lascia in parte a desiderare: meglio sarebbe stato a mio avviso limitarsi alla pubblicazione dei più esaustivi perché non si produca una sensazione di déja-lu piuttosto frequente da un certo punto in poi) rivela che la teoria non è origine del fare di Eliasson, né naturale esito della ricerca sperimentale. Diciamo che si evince quanto la teoria sia una possibile conseguenza delle riflessioni pre e post esecuzione, ma non ciò che rende creativo l’artista, che lo illumina. Leggere è respirare, divenire è un testo analitico, nel senso del “quasi” scientifico[1], un reportage applicato alla lettura sintetica del proprio operato. È utile come lo sono i suoi interventi orali, perché non c’è nessun plus regalato dalla scrittura, anzi forse il parlato rispecchia meglio le sue doti di espressione, chiarezza, logica e linearità didattica. [Per inciso: non ho capito il titolo… Del leggere non è questione nel testo, né rimane quell’approccio poetico che compare nel testo a premessa].
[1] Del “quasi” Eliasson ne parla a più riprese e nel tomo della Taschen Studio Olafur Eliasson in cui diventa un vero e proprio lemma all’interno delle voci che sintetizzano la sua arte. Sotto questa voce, Eliasson esplicita anche il senso del suo rapporto alla scienza affermando: “naturalmente non sono uno scienziato ma un artista. Mi ispiro alla metodologia utilizzata dalla scienza, e in particolare nel ramo della scienza che cerca di comprendere il mondo, non solo di cartografarlo”, Studio Olafur Eliasson, an Encyclopedia, a cura di P. Ursprung, Taschen, 2012, pp. 332-348.
Detto ciò, Eliasson è un momento capitale per il corso di Fenomenologia e un piacere per me soffermarmi sulla sua arte. Perché la sua migliore arte è poetica e perché rivela le contraddizioni e i ponti tra logica e intuizione. Perché il suo modo di pensare e “attivare” il ruolo dello spettatore è capitale in un approccio fenomenologico al mondo (e oggi non si può capire l’arte contemporanea senza passare da questa considerazione). Perché la relazione delicata e complessa dell’uomo con la natura è presente in gran parte delle sue operazioni e diventa, come lui stesso scrive, un luogo di “negoziazione, attrito, temporalità e coinvolgimento”[1]; perché la luce e la sua astrazione tangibile è uno dei mezzi prediletti per narrare lo spazio e il tempo, le variabili contingenti dell’essere. Eliasson sa dirci che i sentimenti e le azioni sono il modo per stare nel mondo in maniera co-relativa: tra ambiente, spettatore e opera esiste co-produttività, tutti e tre i soggetti generano atmosfera, realtà. La società è infatti il risultato di questa relazione viva, in cui l’uomo ha il compito di percepire e di conseguenza dirigere le proprie azioni. L’arte è preziosa per lui poiché è un meccanismo che invita alla relazione e non istiga a un consumo immediato di dati, informazioni, materia: “le cose vere non sono soggette al consumo istantaneo. – scrive – Come un sassolino nella scarpa, ti fanno fermare. […] Temporali fino in fondo, le cose e le opere d’arte insistono sul nostro coinvolgimento e, stratificate in una maglia complessa di relazioni con altre cose, persone e ambienti – insieme a noi – possono cambiare il mondo”[2].
Questo coinvolgimento sincero, etico, singolare-plurale per dirla alla Nancy, è parte integrante del fascino dell’opera di Eliasson. Sebbene, per me, alcune sue opere siano un po’ troppo smaccatamente risultato di un esperimento processuale, una buona parte è fonte di incanto, un viaggio che “avvicina ai limiti dei propri valori sensoriali. [In cui] i sensi si combinano facendo scricchiolare il cervello e appare una nuova mappa sinestesica”[3].
[1] O. Eliasson, Leggere è respirare, divenire, Christian Marinotti Edizioni, 2021, p. 93. [2] Ivi, p. 104. [3] Ivi, p. 127.
Se t’interessa capire di più l’opera di Eliasson, ne trovi il senso nel mio testo Il respiro di mente e corpo. Arte discipline orientali creatività, nonché un’immagine originale ispirata da The Weather Project, l’installazione londinese del 2003 che lo ha reso celebre (in immagine).
CLICCA QUIper informarti sul libro e QUI per ascoltare Emanuela che lo racconta a Ili Editore. Mentre cliccando sul pulsante sotto accedi a un video in cui Eliasson discorre sul rapporto tra idea e opera via il modello.
Eliasson, un libro e la sua arte
03/04/2024 emanuela arte contemporanea, commento libro BLOG, RECENSIONI
La sosta sull’opera di Olafur Eliasson per il corso di Fenomenologia è necessaria. Anche soddisfacente, direi, perché il primato fenomenologico della percezione come dispositivo di consapevolezza è pane quotidiano della sua ricerca.
Ho cominciato a interessarmi alla sua opera fin dagli esordi; un certo distacco dalla sua estetica mi ha permesso di apprezzare la sua intelligenza applicata e la coerenza del suo pensiero. Eliasson sa enunciare chiaramente metodi e processi attraverso l’analisi delle proprie operazioni attraverso conferenze, testi e interviste; ha fondato una scuola a Berlino in cui la didattica è indubbiamente un elemento rilevante per la comprensione delle regole del fare o, più radicalmente, per crearle.
Dopo aver letto la raccolta di scritti sparsi Leggere è respirare, è divenire ho ricevuto conferma che la teoria non è il suo scopo. Normale, direte voi, è un artista, non un filosofo. Tuttavia ascoltandolo, si è tentati di credere che la sua opera sia un esito o un’origine di un approccio teorico-filosofico.
Questa raccolta di appunti sparsi (la selezione lascia in parte a desiderare: meglio sarebbe stato a mio avviso limitarsi alla pubblicazione dei più esaustivi perché non si produca una sensazione di déja-lu piuttosto frequente da un certo punto in poi) rivela che la teoria non è origine del fare di Eliasson, né naturale esito della ricerca sperimentale. Diciamo che si evince quanto la teoria sia una possibile conseguenza delle riflessioni pre e post esecuzione, ma non ciò che rende creativo l’artista, che lo illumina. Leggere è respirare, divenire è un testo analitico, nel senso del “quasi” scientifico[1], un reportage applicato alla lettura sintetica del proprio operato. È utile come lo sono i suoi interventi orali, perché non c’è nessun plus regalato dalla scrittura, anzi forse il parlato rispecchia meglio le sue doti di espressione, chiarezza, logica e linearità didattica. [Per inciso: non ho capito il titolo… Del leggere non è questione nel testo, né rimane quell’approccio poetico che compare nel testo a premessa].
[1] Del “quasi” Eliasson ne parla a più riprese e nel tomo della Taschen Studio Olafur Eliasson in cui diventa un vero e proprio lemma all’interno delle voci che sintetizzano la sua arte. Sotto questa voce, Eliasson esplicita anche il senso del suo rapporto alla scienza affermando: “naturalmente non sono uno scienziato ma un artista. Mi ispiro alla metodologia utilizzata dalla scienza, e in particolare nel ramo della scienza che cerca di comprendere il mondo, non solo di cartografarlo”, Studio Olafur Eliasson, an Encyclopedia, a cura di P. Ursprung, Taschen, 2012, pp. 332-348.
Detto ciò, Eliasson è un momento capitale per il corso di Fenomenologia e un piacere per me soffermarmi sulla sua arte. Perché la sua migliore arte è poetica e perché rivela le contraddizioni e i ponti tra logica e intuizione. Perché il suo modo di pensare e “attivare” il ruolo dello spettatore è capitale in un approccio fenomenologico al mondo (e oggi non si può capire l’arte contemporanea senza passare da questa considerazione). Perché la relazione delicata e complessa dell’uomo con la natura è presente in gran parte delle sue operazioni e diventa, come lui stesso scrive, un luogo di “negoziazione, attrito, temporalità e coinvolgimento”[1]; perché la luce e la sua astrazione tangibile è uno dei mezzi prediletti per narrare lo spazio e il tempo, le variabili contingenti dell’essere. Eliasson sa dirci che i sentimenti e le azioni sono il modo per stare nel mondo in maniera co-relativa: tra ambiente, spettatore e opera esiste co-produttività, tutti e tre i soggetti generano atmosfera, realtà. La società è infatti il risultato di questa relazione viva, in cui l’uomo ha il compito di percepire e di conseguenza dirigere le proprie azioni. L’arte è preziosa per lui poiché è un meccanismo che invita alla relazione e non istiga a un consumo immediato di dati, informazioni, materia: “le cose vere non sono soggette al consumo istantaneo. – scrive – Come un sassolino nella scarpa, ti fanno fermare. […] Temporali fino in fondo, le cose e le opere d’arte insistono sul nostro coinvolgimento e, stratificate in una maglia complessa di relazioni con altre cose, persone e ambienti – insieme a noi – possono cambiare il mondo”[2].
Questo coinvolgimento sincero, etico, singolare-plurale per dirla alla Nancy, è parte integrante del fascino dell’opera di Eliasson. Sebbene, per me, alcune sue opere siano un po’ troppo smaccatamente risultato di un esperimento processuale, una buona parte è fonte di incanto, un viaggio che “avvicina ai limiti dei propri valori sensoriali. [In cui] i sensi si combinano facendo scricchiolare il cervello e appare una nuova mappa sinestesica”[3].
[1] O. Eliasson, Leggere è respirare, divenire, Christian Marinotti Edizioni, 2021, p. 93.
[2] Ivi, p. 104.
[3] Ivi, p. 127.
Se t’interessa capire di più l’opera di Eliasson, ne trovi il senso nel mio testo Il respiro di mente e corpo. Arte discipline orientali creatività, nonché un’immagine originale ispirata da The Weather Project, l’installazione londinese del 2003 che lo ha reso celebre (in immagine).
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