Un giorno a Milano per vedere mostre.
Ci vuole capacità di selezione: dopo due, fatico ad assimilare, tre è proprio il massimo.
Scegliamo Sironi al Museo del Novecento, Saul Steinberg alla Triennale e Domenico Gnoli alla Fondazione Prada.
Solo della prima vi dirò due cose.
Benché la mostra su Steinberg sia la meglio riuscita professionalmente parlando (l’allestimento di De Lucchi è intelligente e giusto; i documenti esposti sono ricchissimi e la figura del poliedrico architetto-artista-illustratore-grafico-caricaturista salta agli occhi con pienezza);
benché Gnoli in Fondazione Prada sia una della prime monografiche così complete sull’artista e la Fondazione faccia scelte molto connotate a livello di allestimento;
nessuna delle due mi ha acceso mente e cuore come quella di Sironi al Museo del Novecento.
Scelgo Sironi perché la ricerca pittorica è commovente.
Il prodotto-mostra di per sé non è eccezionale: è un progetto didattico con un allestimento discutibile.
Ma alcuni dei pezzi esposti sono mozzafiato.
Si vede la pittura da vicino, il materiale pittorico vivo, la ricerca sul colore in relazione ai temi, la magnificenza del primitivo.
A me ha riaperto gli occhi sulla dignità del fare arte.
Se poi, come me, apprezzate un certo paesaggio industriale, i porti nei loro spazi lavorativi, non turistici, gli spazi architettonici svuotati della presenza dell’uomo, allora Sironi è la scelta giusta tra le mostre presenti in questo inizio di anno a Milano.
Le immagini pubblicate sono esclusivamente dettagli. Angoli di quadri talvolta monumentali.
Quasi tutti appartengono agli anni venti e inizio trenta, quando “dramma e grandiosità, pessimismo e volontà costruttiva”, a lui attribuitegli dalle curatrici, potrebbero rivelarsi categorie psicologiche adatte per i tempi attuali.